Tratto da “Novelle Tosco Brozzesi”
Raccolte da Gabriella Di Tante
Trascritte da Giuliano Dei
C’erano tre fratellini, una femmina, la maggiore, si chiamava Sara, il secondo si chiamava Marco ed il terzo Lorenzo.
Vivevano felici con il babbo e con la mamma come tutti i fratellini di questa terra, però un brutto giorno il babbo si ammalò, perse il lavoro ed in quella famiglia cominciarono a star male, perché mancava anche il pane.
Allora Sara, la più grande dei fratelli, disse alla mamma:
- Io voglio andare a fa’ fortuna.
- Non ire via da’ ittu’ paese – rispose la mamma – stiamo ancora tutti insieme; piano piano ci si ripiglia.
- No, mamma. Ho deciso di andare e vo. Se un vo io che son la maggiore, chi ha andare!
Salutò tutti ed a piedi (a quei tempi non c’erano i mezzi che ci sono oggi per muoversi) col suo fagottino e con un po’ di pane e di formaggio, partì da casa.
Cammina cammina, arrivò ad un crocevia e vide una vecchina a sedere su un piolino. Si avvicinò e con garbo le disse:
- Oh nonnina, icché v’avete, che siete stanca?
- Eh, cara bambina, t’ha proprio detto bene; gliò camminato tanto oggi e comincio ad essere vecchia io, sai!
- Ma noo, vu siete sempre in gamba. Che ciavete fame?
- Veramente un po’ di fame ce l’ho..
Sara non fece discorsi, aprì il suo fagottino, divise quello che c’era e ne dette la metà alla vecchina.
La vecchina aveva anche sete, Sara la fece bere e dopo bevve lei.
- Eeh – disse la vecchina – tu se’ proprio una bambina che la merita un premio e io te lo voglio dare. Ti do questo tovagliolino. Se te tu lo metti su un tavolo e tu dici “Tovagliolino apparecchia”, sulla tavola dove tu l’hai appoggiato, apparirà tutto quello che ci può essere su una tavola apparecchiata, in gran quantità.
La bambina dapprima non credette a queste parole, ma la vecchina si accorse del suo dubbio e la invitò così a provare. Sara stese il tovagliolino sulla pietra dove aveva appoggiato il fagotto e la bottiglia con l’acqua e disse: “Tovagliolino apparecchia” ed avvenne all’istante ciò che aveva detto la vecchina.
- Mamma mia! E’ com’essere alla locanda del Pastorini – disse Sara.
- Cara bambina, io ho voluto premiare la tua generosità; tu se’ degna di questo regalo. Ritorna a casa ora!
Come avrete capito, la vecchina era in realtà una fata.
Sara tutta felice, baciò la vecchina e ritornò verso casa.
Cominciava a farsi tardi e si rese conto che non ce l’avrebbe fatta ad arrivare a casa prima di buio.
Lontano lontano, vide un lumicino e senza indugio si diresse verso quella luce. Bussò alla porta di una modesta casa di contadini che si trovava in mezzo ai campi:
- E’ permesso? Che do noia? I’ buio m’ha sorpreso sulla strada di ritorno al mio paese ed io gliò paura, perché cio’ una cosa preziosa con me.
- Oh senti, nini, icché tu ciai?
- Cio’ questo tovagliolino e se io dico “Tovagliolino apparecchia”, lui prepara la tavola per tutti.
- Ma icché tu dici, disse la massaia, codeste le son novelle!
- No, no .. – insistette Sara – è la verità.
Infatti, stese il tovagliolino sulla tavola e pronunciò la formula magica. Sulla tavola apparve ogni bendiddio! I contadini si guardarono subito negli occhi, le dettero una camera, le misero un po’ di sonnifero dentro il bicchiere e mentre la bambina dormiva come un ghiro, presero un tovagliolino identica a quello magico e glielo misero sotto il guanciale.
Appena alzata, la bambina salutò tutti, prese il suo tovagliolino e ripartì.
Quando arrivò a casa, cominciò a chiamare tutti per far vedere la meraviglia. Corsero cugini, parenti e amici, come avviene in ogni paese di questo mondo, così succede a Brozzi, dove ci si conosce tutti.
Sara stese il tovagliolino sulla tavola e disse: “Tovagliolino apparecchia”. Ma non successe nulla. Allora lei ripeté con voce più alta: “Tovagliolino apparecchia” e nulla. Con le lacrime agli occhi, gridando ripeté: “Tovagliolino apparecchia”, ma la magia non avvenne e dubitò di aver sognato.
I suoi fratellini le corsero accanto e l’abbracciarono vedendola così delusa.
Allora Marco disse:
- Vo io a ricercare quel tovagliolino, perché unnè possibile che Sara la racconti le bugie. Io ci credo a quello che la dice.
- Te no, unnandare a fatti prendere in giro.
- E vo e vo, io credo nel suo racconto, unnè possibile che l’abbia sognato. Voglio andare, voglio andare!
E anche lui, la mattina presto, partì.
Cammina cammina, arrivato allo stesso incrocio, si guardò intorno in cerca della vecchina, ma la fatina questa volta aveva l’aspetto di un bambino, tanto che Marco chiese:
- Oh iccé fa questo bambino solo solo?
- Ho perso la strada – disse piangendo.
- Oh senti, poerino, t’ha perso la strada; e la tu’ mamma?
- Eh la me’ mamma l’è andata neccampo e l’ho persa.
- E ti porto io, ma dimmi indove.
- Verso laggiù.
Partirono. Cammin facendo Marco gli chiese:
- Ma te in do’ t’avevi da andare?
- Eh dovevo andare in tanti posti!
- Non ti preoccupare tanto io vengo con te, t’accompagno.
Cammina cammina il bambino cominciò a lamentarsi, perché diceva che aveva tanta fame. Marco tirò subito fuori il pane e senza aggiungere altro gli dette da mangiare e da bere e, a quel punto, il bambino rivelò di essere la fata che aveva aiutato la sorellina.
- Io a te, come dono, ti do un ciuchino, che quando si dice “Ciuchino spetezza” e gli si tocca la coda, lui butta tutte monete d’oro.
- Ma icché tu dici, disse Marco, io un ci credo; unnè possibile!
- Allora guarda: “Ciuchino spetezza”!
L’asino alzò la coda e fece tutte monete d’oro. Immaginate la contentezza di Marco!
- Sono a posto, ritorno subito a casa.
Salutò il bambino e partì svelto svelto per far ritorno in famiglia; purtroppo però la giornata era a fine e Marco si rese conto che non ce l’avrebbe fatta a tornare al paese prima di buio, Cominciò a chiedersi dove avrebbe cercato albergo per la notte e, ricordando ciò che gli aveva raccontato Sara, si ripromise fra sé e sé di stare attento: “Io sono furbo e un son mica un bischero”.
Vide lontano lontano una lucina e prese quella direzione. Arrivò in un cortile, vide due cavalli e una carrozza ed una casa tutta rimessa a nuovo, pensò: “certamente questa non è la stessa casa dove s’è fermata la me’ sorella”, perché ricordava di aver sentito parlare di una casa di poveri contadini. Si diresse verso la porta e bussò:
- Avanti, avanti!
- Sono un viandante e mi son perso per via de’ buio. Che potrei dormire qui stanotte?
- Vieni vieni nini, c’è posto per tutti qui.
Tutto contento, si accomodò con gli altri, ma era tanta la sua gioia di avere un ciuchino fatato che non poté resistere dal raccontare come una fata gli aveva dato quel regalo prezioso. Ma non solo: rivelò anche le parole magiche a sentir le quali il ciuchino scaricava una montagna di monete d’oro.
- Ma chi te lo guarda codesto ciuco? – dissero gli altri, scambiandosi occhiate piene di significato.
Prepararono un bel bicchiere di roba che mette sonno, glielo fecero bere e Marco si addormentò come un ghiro; a quel punto fecero il cambio del ciuco.
Al mattino, quando fu sveglio, Marco prese il ciuco che credeva essere il suo, salutò, ringraziò e se ne ripartì. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea che quella gente l’avesse potuto ingannare!
Chi mal fa, mal pensa! Marco non aveva mai fatto nulla di male, sicché non credeva che altri gliene potessero fare. Alla sua sorella era capitato del male; un caso nella vita può capitare, ma porca miseria, un altro caso così fitto non ci stava! Insomma era tutto tranquillo. Arrivato a casa chiamò a gran voce babbo e mamma perché corressero a vedere il ciuchino magico.
Sara, Lorenzo, i genitori ed una gran ressa di vicini, che facevano a gomitate per vedere più da vicino il fenomeno, lo circondarono mentre lui spiegava che a dire “ciuchino spetezza” la bestia avrebbe fatto monete d’oro.
Figurarsi le risate che scoppiarono quando Marco serio serio, disse quelle cose, ma lui imperterrito:
- Ciuchino spetezza!
E nulla!
- Ciuchino spetezza! – urlò più forte.
E nulla!
- Ciuchino spetezza! – ripeté angosciato.
E invece che spetezzare, il ciuco fece una bella cacca, ma bella eh! Tutti ridevano e prendevano in giro il ragazzo.
- Le fa davvero le monete d’oro – dicevano – e fa quello che si fa tutti.
E giù risate.
I fratellini, tutti mortificati, si abbracciarono per nascondere il loro visino rosso alla vista della gente che li prendeva in giro. Lorenzino poi moriva di rabbia. Questo Lorenzo era un ragazzo fiero, ardito e non accettava che tutti prendessero in giro i suoi fratelli.
- Ora ci penso io! Voglio andare a fa’ fortuna.
- Macché tu fai, disgraziato – gli disse la mamma – ma che vo’ davvero si diventi lo zimbello di Brozzi.
- No mamma, un si diventa lo zimbello. Io vo e un posso vedere patire i me’ fratellini in questa maniera.
Partì immediatamente. Senza nulla partì. Arrivò al famoso quadrivio di cui gli avevano parlato i suoi fratelli e si mise a sedere ad aspettare la fata. Improvvisamente vide la vecchina:
- Che sei Lorenzo?
- Sì, son Lorenzo. Io un voglio né tovagliolini, né ciuchi. Io voglio vendicare i me’ fratelli.
- E tu ti vendicherai – disse la vecchina.
- Io un voglio fa’ de’ male a nessuno, però li voglio prendere con le mani ne’ sacco, quei furfanti che hanno ingannato i me’ fratelli.
- Allora cio’ proprio icché fa per te. Ti do queste bamboline. Se tu gli dici “bamboline menate”, le tiran botte da orbi.
- Davvero?
- S’, proprio così.
- Allora le piglio.
Ringraziò la nonnina, la salutò avviandosi subito. Cammina cammina, si fece notte ed anche lui si diresse verso un lumicino che vedeva lontano lontano. Mano a mano che si avvicinava riconosceva la casa che gli aveva descritto Marco. Arrivato alla porta, bussò e rispose una voce:
- Avanti!
- Scusate, sono un ragazzo che ha perso la strada per tornare al paese.
- Oh senti! E in do’ tu stai?
- Sto a Brozzi, a quattro o cinque chilometri da qua, avrei bisogno di un piacere.
I marpioni si guardarono pensando: “Ecco un altro allocco”.
- Vedete – riprese Lorenzo – io cio’ queste bamboline che se si dice “bamboline menate” le arrovesciano tutti gioielli, perciò le vorrei tenere accanto a me.
- Eh sì, nini, poerino, chissà chi te le guarda. Poeri, ma onesti! Noi nulla di nulla!
- Bene, mi fa piacere.
Allora quei malandrini prepararono il solito intruglio per farlo addormentare e invitarono Lorenzo a bere. Il ragazzo non cadde nell’inganno e finse di dormire. I manigoldi gli presero le bambole, ne ricostruirono altre tali e quali e le sostituirono a quelle di Lorenzo. Dopodiché, appoggiate le bambole vere sul tavolo di cucina cominciarono a dire: “bamboline menate”.
Le bamboline cominciarono a tirare colpi tra il capo e il collo e loro non sapevano come ripararsi da quelle manine secche secche di legno e cominciarono a gridare:
- Aiuto, aiuto, ci ammazzano, aiuto, aiuto!
- Aiuto un corno, chi unnaute, l’ha daere – gridò Lorenzo – fuori tutte le robe de’ me’ fratelli.
- Che robe tu vuoi, noi un s’è preso nulla.
- Unnè vero, tirate fuori tutta la roba de’ me’ fratelli, perché sennò le bamboline unné fo smettere ..
Insomma tanto fece e tanto disse, che quella gente fu costretta a ridargli il tovagliolino e il ciuchino e allora tutto contento arrivò a casa con il tovagliolino, il ciuchino e le bamboline.
Anche lui fece ciò che avevano fatto i suoi fratelli: chiamò tutti i paesani a casa sua.
La gente tutta contenta e allegra si diresse alla casa, pronta a ridere anche di Lorenzo, come avevano fatto con gli altri due e mentre andavano si domandavano:
- Icché gliarà questo di novità?
Fu preparata una tavola lunga lunga, per mettere a sedere tutta quella gente sghignazzante che, mentre si accomodava, si dava di gomito ammiccando verso Lorenzo:
- Ora si mangia – disse e prese la Sara e Marco accanto a sé e li tenne entrambi per mano pregandoli di stare zitti e attenti.
- Macché se’ sicuro? – disse Sara.
- E si rifà ridere tutti – disse Marco.
- State buoni, fidatevi di me. Forza Sara, tocca a te. Metti il tovagliolino sulla tavola e dì le parole che t’ha da dire.
La gente allora sì che rideva, aspettando di nuovo la figuraccia che avrebbe fatto Sara e lei con un fil di voce pronunciò: “tovagliolino apparecchia”.
Ci fu un gran turbine bianco su tutta quella lunga tavola e apparve ogni bendiddio. E dagli antipasti ai dolci, c’era roba da rimpinzare un esercito di soldati. Tutti si abbuffarono e si riempirono la pancia di tutte quelle leccornie dicendosi l’un l’altro: “Questa volta gliè vero, gliè vero”. Mangiarono tutti a strippapelle.
- Non è finita qui – disse Lorenzo – Dai Marchino, tocca a te.
Prese il ciuchino, lo mise sul tavolo e Marco, timido timido, disse: “Ciuchino spetezza”.
Il ciuchino cominciò a tentennarsi e a fare tante monete d’oro. Allora Marchino e Sara, tutti felici, abbracciarono il loro fratello perché era riuscito a dimostrare la loro buona fede.
I paesani allora chiesero:
- Lorenzo, o te icché tucciai di straordinario?
- E cio’ una cosa che la vi farà tutti contenti, però bisogna che vi leghi le braccia.
La gente a quel punto si fece fare tutto perché ora credevano a quel che veniva detto. A tutti, anche ai genitori dei bambini, furono legate le mani alle sedie con una cordicella.
Quando ebbero le mani legate Sara, Marco e Lorenzo misero le bambole sulla tavola e dissero:
- Pianino, eh! Ma.. bamboline menate!
Quanti ceffoni volarono! Nessuno si poteva difendere a causa delle mani legate alle sedie, tutti chiedevano aiuto ed imploravano i ragazzi, ma insomma erano anche contenti che Lorenzo avesse attuato quel piano per rivalutare agli occhi di tutti i suoi fratelli.
La bamboline si fermarono, la gente fu liberata e furono iniziati i festeggiamenti.
Il bengodi durò molti giorni. Vissero felici e contenti fra la gente che imparò a voler loro bene. Sara, Marco e Lorenzo fecero di buona voglia tutto quanto fa ogni bambino in questo mondo: studiarono, lavorarono, giocarono e crebbero come ognuno vuole che crescano i bambini, felici, sani e disponibili sempre verso tutti.
Stretta la foglia larga la via
dite la vostra che ho detto la mia
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