"LA DODICI" ovvero La Porcari Corre 2019

La mia prima Porcari Corre è stata sotto la pioggia. Una pioggerella tiepida, costante, allenata che mi ha costretta sotto l’ombrellino rosso, sotto la mantella verde con lo zaino sulle spalle e con la Nikon dentro il suo impermeabile di plastica.

Partire alle nove, quando tutti tornavano e gli organizzatori già si preparavano a smontare bandiere, pannelli e striscioni, mi ha fatto perdere la parte più eccitante, colorata e folkloristica di questa camminata che, nonostante la pioggia, ha attirato sui sentieri quattromila persone.
Io ho camminato in solitaria e non ho potuto godere del clima che anima ogni anno questo evento e che fa della Porcari Corre una delle gare podistiche più apprezzate e partecipate d’Italia, ma se si vuole viverla in tutta la sua vivacità assaporandone i colori e l’allegria, si deve essere pronti alla partenza alle sette del mattino, costi quel che costi! 

Mi ero ripromessa di arrivare alla Torretta, fare quattro fotografie e tornare, perché appesantita dalla zavorra non avrei potuto resistere a lungo … Seguendo uno sciagurato consiglio ho preso per la 12/17/20 (chi legge sa cosa intendo) promettendo a me stessa che dopo il primo ristoro sarei tornata indietro…  

Ho incontrato per prime le rose, poi le spighe e i fiori selvatici, seguiti dagli ampi prati che si aprivano al mio passaggio. A valle, ciuffi di vapore denso e immacolato, cercavano inutilmente di rallegrare un cielo immusonito e minaccioso.

         

Per lunghi tratti sola lungo la strada, mi confortava la vista dei nastri che segnavano il cammino e procedevo, lenta e sicura, seguendo con fiducia la rassicurante manina gialla.

Pochi solitari podisti. Tutti andavano di fretta, un ciao, un sorriso frettoloso e via su per la salita, mentre io arrancavo sotto il peso di tutti i miei accessori fotografici.Al bivio dove la 12 si separava dalle altre, ecco finalmente il primo ristoro! Rinvigorita da tre biscottini e tre bicchieri di thè, ho chiesto informazioni sul percorso alla persona dello staff fermo all’incrocio, che in maniera spiccia e senza tante moine mi ha ammonito dal tornare indietro, perché il percorso alla mie spalle d’ora in avanti sarebbe stato sprovvisto di controlli e assistenza… Un “..faccia lei..” è stato più incisivo di un calcio nel sedere .. Anche se obtorto collo, ho imboccato la 12, avvertendo lo sguardo soddisfatto e compiaciuto del vigile bucolico munito di paletta verde! 

       

L’unica luce che guidava i miei passi era il pensiero del ristoro successivo che sapevo di trovare in una località chiamata “La Legge”, probabile luogo d’origine dell’amico preposto alla segnaletica stradale …

Di passo in passo fotografando case abbandonate, mandolati toscani, siepi traboccanti camelie, una famigliola a chiacchiera nella pioggia sul ciglio di una strada, sono arrivata in vista della Legge! Mai vista fu più gradita del cartello “Golosone” posto davanti alle tende del ristoro 200 metri più in là ..

Devo descrivermi per giustificare il fatto accaduto di lì a poco: figura gibbosa (causa zaino sotto la mantella verde), mézza (a Firenze sta per bagnata fradicia), con ombrello nella mano sinistra, macchina fotografica Nikon 810 con obiettivo 24-70 mm f/2,8 di oltre 2 chilogrammi nella destra (dopo 5 km era diventata un quintale) prendo, con la mano sinistra già impegnata con il manico dell’ombrello, una ciotolina di farro gentilmente offertomi da una signora del ristoro e mi chino a terra per posare sullo scalino la macchina fotografica. Da questa disgraziata posizione il guaio minore che mi poteva capitare era rovesciare ciotolina e farro sulla pietra accanto e sopra la macchina fotografica… ecco, così è stato .. La solita signora premurosa mi ha offerto una seconda ciotolina, togliendomi subito la speranza che la mia dabbenaggine fosse passata inosservata! Dopo l’ingresso trionfale mi sono consolata con un crostino all’acciuga, una fetta di torta e un bicchiere di thè .. Fatti quattro scatti al ristoro dell’Ignominia, sono ripartita con destinazione Torretta. 

         

Un sentiero campagnolo tra boschetti e campi immensi, mi ha condotto in vista di una villa con il viale dagli alti cipressi; da lì ritrovata la strada asfaltata ho continuato il cammino meravigliandomi di non avere ossa doloranti, mal di piedi, affanno, insomma nessuno di quegli acciacchi di cui di solito subisco gli agguati.

Già mi rallegravo con me stessa, quando un gruppetto di ciclisti mi passa accanto ed uno di loro si ferma e mi fredda il bollente spirito dandomi la notizia che per arrivare alla Torretta bisognava affrontare una bella salita e con la mano messa in verticale me ne mostra la pendenza … per non darmi tutte cattive notizie mi dice anche che non sono l’ultima e che dietro di me ci sono ancora una cinquantina di persone; mi chiede come mi chiamo e si presenta come il vice Sindaco di Porcari, poi mi abbandona al mio destino con un bel sorriso smagliante.

Taccio su come sia riuscita a fare la salita, perché ciò che merita di essere raccontato è il caffè con la panna che mi aspettava all’imboccatura dell’ultimo tratto del sentiero che mi avrebbe portata alla Torretta.

         

Sentiero di terra rossa, bagnata e scivolosa, affrontato lentamente per non rischiare di cadere, fino a giungere ad una adorabile panchina dove l’erba incolta penetrata tra le sue stecche, mi diceva che nessuno vi si sedeva più da lungo tempo; creduta inutile perfino dalla natura circostante che tentava di farla scomparire soffocando il suo respiro, a me è sembrata un miracolo!
Tolto lo zaino dalle spalle, mi ci sono seduta posando la macchina al mio fianco e appoggiando la schiena alla spalliera con un sospiro di sollievo, ci siamo concesse lei ed io, un momento di intimità e di calore umano.

                             

Ultimo tratto.
Il bosco si fa più fitto.
Pare rinforzi la pioggia.
Ma quelli che sento scivolare nel collo sono goccioloni che cadono dalle foglie smosse dal vento..
Alzo lo sguardo e la vedo.
In alto, oltre i lucidi scuri scalini di sasso color dell’argento, tra le fronde degli alberi, quasi invisibile nel chiarore della luce di mezzogiorno, eccola .. La Torretta.
Ci sono arrivata.
Ce l’ho fatta.

                         

Non c’è quasi nessuno, stanno smontando anche l’ultimo dei punti ristoro.
Niente leone né scimpanzé non più pagliacci né tendone del circo, finite perfino le bolle di sapone.
Non sono giunta in tempo per lo spettacolo.
La pioggia prende maggior vigore.
Mi trattengo il tempo di uno scatto e poi via giù per la discesa. Arrivo quasi a toccare con la mano, il bianco campanile della chiesa di San Giusto che mi annuncia vicina la meta.
Una sedia, ecco cosa desidero trovare alla fine del mio viaggio, una sedia che accolga la mia stanchezza e un amico che mi porga un bicchiere di vino e una fetta di torta di verdura.
Per fare dodici chilometri ho impiegato più di quattro ore.
Una tartaruga avrebbe saputo fare di meglio …
Ma sono felice perché ho conquistato i miei premi: il pacco di rotoloni Regina, la sedia, l’amico, un bicchiere di vino ed una fetta di torta !!

                            

   

 

         

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