E IL CORVO PASSEGGIAVA
Seduto a un tavolo del bar Giardino di questo San Terenzo così ligure e marinaro, pensava alla Sicilia e ordinava a un cameriere affabile una granita. A che gusto signore?
Gli venne spontaneo pensare a quei piaceri siciliani, a quello di un mattino a Milazzo in attesa di un aliscafo per Vulcano, una crema più che una granita, si poteva dire un gelato fatto con l’acqua e non con il latte, ma di una delizia unica, al sapore di caffè. Un doppio caffè, aveva pensato allora, da come si sentiva in tutto il palato il sapore e il gusto, anche il profumo.
E avendo avuto dal maresciallo dei Carabinieri di Riopoggio, suo conoscente, un consiglio quando aveva saputo che sarebbe andato in Sicilia, sua patria, ricordandolo, avevo ordinato un cornetto al burro ancora caldo, con quel piccolo ghiribizzo che saliva in alto, quel ricciolo, quella interruzione della materia che aveva trasformato un pezzo di pasta in una opera d’arte... gli avevano proposto un cornetto con un cuore di crema di pistacchio, ma non aveva osato tanto. Come la granita di gelsi neri, ricordi d'infanzia, bocche rosse sotto a quegli alberi così diffusi. No, non si poteva arrivare subito al Paradiso. Ci sarebbero stati altri momenti e altre occasioni.
E mentre lui ritornava a Milazzo, il cameriere di San Terenzo lo guardava in attesa e quindi si affrettò a chiedere quali gusti avesse, interrompendo la sua indecisione fra il caffè e la mandorla.
Capi che il gusto alla moda, quello che avrebbe dovuto ordinare, l'unico che avevano oltre alla menta e all'amarena, era alla coca cola e la ordinò.
Un uccello nero, troppo grosso perché fosse un merlo, a meno che non fosse un grosso merlo fuori misura, passeggiava sui tavoli vicini, tavoli vuoti dove gli avventori avevano lasciato cadere inavvertitamente briciole di brioche. Beccava con tutta serenità, non disturbato dal rumore della radio dentro il locale.
Già sentire la radio in un bar per l'uomo lo conciliava con i suoi tempi, e aveva controllato entrando e poi uscendo per accomodarsi al suo tavolo, che fosse proprio la radio e non un programma della televisione.
Il corvo, perché se non era un merlo, essendo nero, doveva essere un corvo, continuava a cercare anche nei piattini le briciole. Era sicuramente un habitué del locale e se ne stava tranquillo, anzi, guardandolo, dava l’impressione che presto sarebbe saltato anche sul tavolo dell'uomo che amava la radio.
E così lui, che aveva pensato la stessa cosa, posò delle briciole del cornetto sul bordo più lontano del suo tavolo.
L'uccello fu svelto a volare e a impossessarsi della nuova risorsa. All''uomo venne voglia di allungare il braccio e accarezzarlo, ma non lo fece.
Pensava fosse un vecchio corvo e ricordò come alla Torre di Londra fossero sacri e dedicati alla Regina. Aveva sempre pensato a suo tempo che fosse per una assonanza per la traduzione del nome corvo in inglese (crow) che sembrava la radice della parola corona (crown).
Sembrava che l'uomo non avesse molto da fare e seguiva i suoi pensieri. Infatti avrebbe dovuto passare un paio d’ore prima di portarsi all’appuntamento con una “lei” che sarebbe arrivata.
E così si gingillava a pensare al vecchio corvo. Vecchio poi perché? Per le punte delle penne che sembravano appunto vecchie? Non conosceva i corvi eppure aveva pensato vecchio. Forse come nel caso di “vecchio” amico, per quella sicurezza che dà qualcosa che non è nuovo e imprevedibile e anche perché i “vecchi”, come lui, hanno già vissuto e si sono fatti una scorza e sono meno impulsivi.
Questo non era vero. Lui per esempio era diventato più irascibile, se così poteva definire il suo impulso a mandare la gente a “fare un giro di mura” come dicevano i lucchesi.
Il corvo lo guardava quasi a chiedersi se l'uomo fosse vero o solo una riproduzione di un essere di altri tempi. La sua granita alla coca cola aveva un sapore normale e non l’avrebbe ricordata fra le sue cose care.
Già aveva un incontro con una donna che aveva fatto parte della sua vita e che aveva tutto il sapore, quell’incontro, di una fine di un periodo, con quelle frasi scontate “ti penserò per sempre”, “sei stato la cosa più importante che mi sia capitata” e roba del genere.
Pensare a questa evenienza lo intristiva e soffriva questa premonizione. Del resto le cose non potevano andare avanti così come negli ultimi tempi.
Quando fosse arrivata avrebbe anticipato il suo imbarazzo e le avrei detto lui “E’ finita. Buon viaggio” e quando lei si fosse messa a spiegare le avrebbe detto “lascia perdere”.
Si sentiva quasi un eroe di un film di altri tempi. E ancora con questi “altri” tempi.
Poi un bimbo piccolo stava piangendo e aveva attratto la sua attenzione. Singhiozzava piangendo. Questi bimbi viziati, chissà cosa voleva, ai suoi tempi…. O, ma non riusciva a smettere di sentirsi fuori tempo, fuori luogo e superiore. Proprio il difetto dei vecchi.
La mamma stava accarezzando il bimbo, prendendolo in collo e asciugandogli le lacrime lo cullava quasi. Era una bella donna, i capelli raccolti sulla testa con una falda che girava intorno alla sua fronte e si fermava sui suoi occhi luminosi. Aveva la bocca deliziosa delineata da un rossetto discreto. Le braccia nude mostravano un piccolo tatuaggio insignificante sul braccio sinistro, quasi all’attaccatura del braccio, vicino all’ascella. Chissà perché.
Avrebbe voluto chiederle: Perché quel tatuaggio? Perché rovinare un’opera d’arte come il tuo corpo con uno sgorbio?
Ci mancava anche che si mettesse a criticare una donna che era a un tavolo vicino al suo e che non ricordava nemmeno se fosse venuta prima o dopo di lui.
Certo il bambino doveva avere dei sogni e desideri importanti perché continuava a piangere e a singhiozzare. Chissà cosa voleva.
Il corvo insaziabile e imperturbabile stava sul tavolo dell'uomo e lo fissava dai suoi occhi laterali muovendo la testa, forse voleva vederlo bene, prima con uno poi con l’altro occhio.
Forse stava pensando che era un bel tipo, con la sua maglietta sudata e i pantaloni di jeans, le sue scarpe sportive e i suoi capelli bianchi.
“Scusi ma lei ha sentito cosa diceva il bimbo, mentre piangeva?”
Questa la voce di una signora che l'uomo vide, voltandosi, a un tavolo dietro il suo. Aveva pronunciato la frase alzandosi e avvicinandosi alla sua sedia, con fare circospetto e sottovoce. L'uomo, come si fossi svegliato allora da un sonno, si scosse e si rese conto che il bambino con la mamma se n’erano andati e che ora si sentiva piangere oltre l’angolo.
Rispose in modo gentile e senza far vedere che nemmeno si era accorto che se n'erano andati.
“Voglio la mamma, voglio la mamma.” disse la donna.
Lui aveva sentito solo piangere ma non aveva dato molta importanza alla cosa, cercando di non sentire il piagnisteo ritenendolo ormai una cosa alla quale doveva abituarsi.
Davvero? Chiese sentendosi improvvisamente coinvolto in una cosa che sembrava preoccupante.
“Le dico che piangeva e voleva la mamma” ripeté la signora.
E pensare che lui aveva supposto che volesse un trenino elettrico o una play station, anche se ripensandoci era troppo piccolo, forse un altro gelato, dopo averne mangiato uno, oppure una coca cola, insomma una richiesta banale che la mamma gli negava.
“Voleva la mamma” era preoccupata la signora con l’ombrellino rosa a righe blu, un parapioggia che fungeva da attenuante per la forte luce del sole. “Non si tratterà mica di un rapimento… potrebbero averlo rapito quel bambino.”
Si rese conto che la donna era sulle spine e allora anche lui cominciò a preoccuparsi, ma poi si disse che quella poteva essere la bambinaia o una signora che si era presa l’incomodo di guardare il bimbo per qualche ora perché la mamma aveva un impegno.
“Forse era un bambinaia, magari nuova e il bimbo voleva la mamma” le disse.
Fra l’altro aveva notato che ogni tanto lo prendeva fra le braccia tentando di consolarlo e lo ricopriva di baci. Una rapitrice di bambini non sarebbe venuta al mare, a comprare un gelato e stare a un tavolino a farlo piangere e chiedere della mamma.
La signora dall’ombrellino rosa dalle righe blu, lo guardò e sembrò rassicurata.
“Ha ragione, disse, sono stata sciocca a pensarlo, ma sa in questi tempi…”
E lasciò la frase sospesa. E scoprì un bel sorriso con dei denti bianchi e regolari, curato, quel sorriso, per una persona non più giovanissima. Sopra il sorriso due occhiali con una bordatura in nero e dietro le lenti due occhi chiari che sorridevano insieme alla bocca. Aveva un cappello di paglia a maglie larghe con un nastro, quasi un foulard tipo pelle di tigre innaturale che le scendeva di lato.
Era proprio coperta per essere al mare e il suo vestito bianco era decorato con pochi disegni blu che riprendevano il suo ombrellino. Una collana lunga le dava un’aria curata, non affidata al caso.
Le chiese come mai fosse così coperta, tenendo un ombrellino sotto la tenda del bar e addirittura il grande cappello.
Lei rispose che questo le era stato consigliato dal medico per un problema che sperava fosse transitorio. Lei di solito amava il sole, come la sua amica, che approfittava di ogni attimo possibile per stendersi al sole. Infatti era nella spiaggetta vicina.
Era piacevole parlare con lei. L'uomo del resto doveva ancora passare un po’ di tempo in attesa e forse si era stancato di osservare il corvo o andare dietro ai suoi pensieri che stavano scivolando sul triste.
E così, come se niente fosse, le chiese se amasse leggere.
Lei lo guardò da dentro gli occhiali come fosse un animale strano e gli rispose dicendo che leggeva ma non amava particolarmente stare a sfogliare pagine dopo pagine, per sapere storie di persone che non conosceva. Non è facile trovare libri che ti tengono legata alla trama. E poi, disse, non aveva molto tempo.
“Io ricamo”.
Lo disse così, come fosse una confessione o una dichiarazione importante.
“Bello” disse l'uomo tanto per dire, pensando, come aveva sempre pensato, che il ricamo fosse un lavoro.
Chiese conferma se per lei fosse un lavoro o per caso un passatempo.
“Solo un passatempo. Veramente mi è sempre piaciuto ricamare, o meglio invidiavo le altre quando lo facevano. Io non mi ci ero mai provata. Lavoravo e tornavo tardi la sera, ragioniera in un’azienda primaria, un marito due figli, altro che ricami. Appena i figli furono cresciuti ecco i nipoti e tutti ti tirano in mezzo e com’è bello lasciarlo fare. Poi un giorno ti scopri che vai in pensione. Ti senti crollare tutte le impalcature che ti eri costruita nel lungo periodo della tua vita, senti le sicurezze che diventano dubbi, senti una insicurezza particolare. Ma anche lei, che mi sembra avere la mia età, deve aver provato qualcosa del genere, perché anche lei è in pensione, vero?”
“Vero” rispose l'uomo sorridendo.
“E così in quei giorni che non arrivavo in tempo a fare niente, che mi sembrava di girare a vuoto come una trottola inconcludente, improvvisamente, decisi che avrei ricamato.”
“Chiesi consiglio al mio computer con il quale ero sempre in contatto per lavoro e lui mi dette tutte le notizie di cui avevo bisogno, comprai le cose migliori, gli strumenti, i manuali, studiai le varie forme, così facendo feci delle scelte, qualcosa invece di altro, e sono diventata una esperta e orgogliosa di me. Si figuri che faccio anche i concorsi..”
“Concorsi?”
“Certo, ci sono i concorsi. Non lo sapeva? Sono organizzati dei concorsi e esposti i nostri lavori. Ci sono club di ricamo d’Assia (sono stata ad Andalo in Trentino per un corso di perfezionamento e sono iscritta agli Amici del Ricamo di Bologna). Faccio parte della FeRDI e le posso dire di avere la casa piena di miei lavori e di averli regalati a tante amiche.”
Era meravigliato e glielo disse e le chiese, senza obbligarla a dirgli la sua età, da quanto fosse in pensione e come avesse potuto perfezionarsi così in pochi anni.
Seppe così che lei dedicava tutto il tempo libero a questa sua passione.
“E suo marito cosa ne dice?” chiese curioso, immaginando un uomo costretto in casa perché la moglie era sempre impegnata a ricamare.
“Mio marito gira volentieri per l’Italia e siamo sempre in movimento: Io poi non riesco a stare ferma, cammino, frequento circoli di cultura, mi piace l’opera, il teatro e chissà quante altre cose.”
Gli disse che aveva vinto dei concorsi e l'uomo di rimando le chiese se era così importante, per lei, vincerli, questi concorsi, forse con l'intenzione di spiazzarla..
“Non è importante ma è bello sentirsi apprezzati. Ho un amico che per esempio dice di non amare i concorsi, lui scrive e dipinge sa, ma non ama fare i concorsi, non gli dà importanza, sembra quasi che non gli importi vincerli,,,”
“Forse il suo amico non vuole perderli..”
Rise e lo guardò con simpatia e convenne che forse aveva ragione.
E subito aggiunse che quel suo amico era una persona speciale e anche se non voleva perderli, i concorsi, era sempre un uomo speciale.
Si capiva benissimo che teneva molto a quell’amicizia.
“Mi sembra che lei tenga molto a quell’ amicizia”.
E allora si mise a parlare e gli occhi sembravano imbarazzati. Piano piano gli raccontò una storia con il pudore di una bambina e il candore di una donna vissuta che misurava le parole per descrivere i suoi sentimenti.
A un tratto s’interruppe e chiese:
“E lei cosa fa qui solo, sotto una tenda di un bar?”
“Aspetto una donna che forse non verrà e a questo punto forse è meglio che non venga.”
Fu così che le disse di una relazione che era finita, di una donna che non trovava più nemmeno cinque minuti per prendere un caffè con lui, magari parlando di una cara amica comune. Di come improvvisamente da suo fulcro fosse diventato una inutile amicizia che pesava sugli orari e sui tempi. Non trovava più il tempo di leggere due pagine di scrittura che le mandava. Rispondeva che non sapeva quando, ma le avrebbe lette. Voleva costruire un nuovo avvenire, aveva trovato un uomo al quale aveva messo l’etichetta, togliendola dalla sua pelle, “uomo del mio futuro”.
Voleva chiudere la cosa in modo perfetto, perché lei voleva essere perfetta e gli aveva dato un appuntamento al quale credeva che forse non sarebbe venuta e che questa sarebbe stata la cosa migliore per tutti e due.
“Strano come lei ne parli spassionatamene, forse non l’amava, o forse la logica è nella sua cultura e nel suo carattere. Anche prima lei ha trovato la bambinaia, la signora incaricata, io invece ero presa dal panico e mi sembrava che domani avremmo letto del rapimento su tutti i giornali.”
Lo ascoltava con attenzione e gentilezza, ma si vedeva che voleva aprire il suo cuore.
Perché quel cuore, come un forziere, non era abituato ad aprirsi e siccome quel pomeriggio per un caso strano la chiave aveva girato e il coperchio stava alzandosi cigolando, voleva mostrare il suo contenuto.
“Non ho mai tradito mio marito, né con il corpo e neppure con la mente. Ma un giorno le nostre vite, vicine, troppo vicine, da pensionati, hanno scricchiolato. I nostri caratteri si sono affrontati come due pugili sul ring, senza se e senza ma. Nessuno vuole indietreggiare un passo, ognuno vuol difendere una sua ragione, un suo modo di pensare. Allora tutto sembra ritornare in ballo, le gelosie, anzi la tigre della gelosia, è sempre seduta al nostro tavolo. Io devo comportarmi da donna timorosa di Dio, io che sono, mi domando se lo sono ancora, comunista e atea, devo essere rispettosa di lui, ma per fare questo devo rinunciare a me stessa, ad essere me, ad avere pensieri e ambizioni. Questo non può pretenderlo. Io gli sono fedele, e se parlo con un altro uomo non deve irritarsi, e se a una conferenza io parlo non lo faccio per metterlo in una luce minore. Deve capirlo questo. Ma è difficile.”
Sotto quella tenda, l'uomo che guardava il corvo, aveva incontrato una donna dall'ombrellino rosa con le righe blu, che aveva aperto il forziere dei suoi pensieri. Cosa così rara oggigiorno. Le diceva che lei aveva trovato e sentito un sentimento nuovo per un uomo. Non era una cosa certa o ben limitata, era qualcosa che lei indovinava e non sapeva dove finiva. Era stima e gratitudine perché lui la ascoltava, leggeva quello che lei scriveva e a sua volta le parlava dei suoi problemi, delle sue ambizioni e dei suoi sogni. Sogni pur limitati nel tempo visto che non erano giovanissimi, ma pur sempre sogni ai quali aggrapparsi. Parlavano molto del presente, si poteva dire che contrariamente a due giovani che si incontrano e simpatizzano, loro due erano più portati al presente che al futuro. La sorpresa che lei aveva avuta era di trovare una persona che si interessava di lei, che sembrava pensare le stesse cose, e pareva si somigliassero tanto da pensare di essere figli di una stessa madre.. Ma certo, lei aveva tante persone vicine, a partire da una figlia meravigliosa e un figlio devoto, i nipotini bellissimi, d'accordo, tutto perfetto, ma lei si trovava a pensare a Giovanni, a raccontargli cose che riguardavano i suoi segreti di infanzia, i suoi rapporti con la madre, con il padre, morto quando lei era piccolissima, e che quindi non aveva conosciuto se non per quelle mani che la prendevano per guidarla o per quelle labbra che si appoggiavano alle sue guance di piccola.
L'uomo con la maglietta sudata e i capelli bianchi la guardava sorpreso. La capiva e forse era quello del quale avrebbe avuto bisogno anche lui, una ventata di interesse da parte di qualcuno. L'interesse per la sua intelligenza, per la sua mente. L'interesse che riguardasse la sua storia e il suo passato. C'era un cambio di orizzonti, di sogni. Se è vero che l'utopia fa girare il mondo, per lui e per quella donna al tavolo vicino al suo, si era modificata. Guai a non esserne consapevoli: si rischia di inseguire l'impossibile, di diventare patetici e vivere eternamente fuori luogo.
La donna sotto l'enorme cappello di paglia, con quel foulard inadatto e legato al cono del copricapo, sorrideva e lo guardava negli occhi quasi con aria birichina, quasi chiedendosi se lui la trovasse un po' bambina. Gli occhi chiari e trasparenti ridevano ma ora non erano inquieti. Sembrava stare bene quella donna. Lui pensò che avesse di solito un'anima inquieta, un modo di vivere senza pause, sempre impegnata se non dalla realtà, dalla proprio irrequietezza. Aveva una risata ampia, l'aveva sentita quando lei aveva riso per una sciocchezza. Sembrava quasi se ne facesse un vanto di ridere.
Le chiese con un lieve imbarazzo quando lei incontrava Giovanni e la donna spalancò gli occhi e la bocca prima di rispondere...”Non ho mai incontrato Giovanni. Certo ne conosco l'immagine tramite le sue fotografie. Sa lui a volte mi manda foto giovanili, quando riteneva essere un bel ragazzo, con quella sorta di civetteria che ci prende quando vogliamo fare colpo, e io gli rispondo che preferisco le sue foto di ora, con tutti i suoi pochi capelli, o quel volto che come tutti con il tempo diventa una maschera di noi stessi. Io in quel volto di rughe trovo la sua anima di ora, trovo il mio interesse di ora.”
Sembrò prendere tempo, riflettere un attimo e poi continuò: “No, non ho mai incontrato Giovanni, ma vorrei farlo. Vorrei che mi prendesse per mano e mi portasse a fare una passeggiata, sotto alberi freschi e con un paesaggio ampio, senza mura che lo ristringano, vorrei che i nostri sguardi fossero rivolti in avanti, liberi. Mi basterebbe sentire il contatto delle sue dita, e che solo ogni tanto stringesse le mie.”
Una signora con un asciugamano sull'avambraccio stava attraversando la strada, la donna dal vestito bianco disegnato di blu, la vide, le rivolse un sorriso e agitò la mano, dicendo “Gina, sono qua.” Appena arrivata, appoggiò il suo asciugamano e la borsa su una sedia mentre l'amica continuava a parlare “stavo parlando con questo signore così gentile...lascia che te lo presenti...che sciocca..non so come si chiama,,”
L'uomo si alzò in piedi e disse...Giovanni, piacere.
La donna che disse … Sandra piacere...aggiunse,,, ma veramente si chiama Giovanni?
A volte non è importante come gli altri ti hanno chiamato, ma molto di più come tu vorresti essere chiamato. Buona fortuna Sandra.
Si alzò, passò nel bar per pagare, quando uscì le due donne se n'erano andate.
Altri si erano seduti ai tavoli e il corvo continuava a guardare prima con un occhio poi con l'altro...